Oltrepò Mantovano (Mn): un luogo da visitare ed assaporare

“Quanto più uno vive su un fiume, tanto più si rende conto che non c’è nulla di più bello e più grande del compiere il corso della propria vita semplicemente e naturalmente. Come un fiume, che accetta i suoi limiti e vi si adatta.”

( Rabindranath Tagore )

L’Oltrepò Mantovano è un piccolo territorio della Lombardia che si estende oltre il fiume Po, incuneato tra le province emiliane di Reggio Emilia, Modena e Ferrara e quelle venete di Rovigo e Verona.

Nell’Oltrepò ci devi arrivare, non ci passi per caso, ed anche noi di Giroviaggiando, ci siamo arrivati grazie ad un fantastico Blog Tour, organizzato dal Consorzio dell’Oltrepò Mantovano, in collaborazione con l’Associazione Italiana Travel Blogger e gli uffici del turismo della Regione Lombardia e della Provincia di Mantova (*adv). Nei tre giorni del Tour, dal 9 all’11 luglio, abbiamo percorso e scoperto un territorio pieno di storie da ascoltare e raccontare, di luoghi di scambio, di conoscenza e sapere ma anche e soprattutto di persone che coltivano e condividono tempo, lavoro, passione e creatività.

Ma il vero cuore e signore di questo territorio è il Fiume Po, che si può percorrere con la vista, passeggiando lungo i suoi argini; con la bicicletta, approfittando degli oltre 470 Km di percorsi ciclabili e ovviamente con la barca, scoprendo oasi di natura e pace, pievi di origine medievale, campi, luoghi di cultura e sapori che valgono un’indimenticabile sosta.

Il nostro Tour ha toccato alcuni dei 19 comuni di questo territorio: Sustinente, Ostiglia, Revere, Borgo Mantovano, Borgo Carbonara, Felonica, Sermide, Nuvolato, Quistello e Quingettole, ma in realtà ha incontrato persone, sapori, passioni, tradizioni, senza le quali molte delle cose che abbiamo visitato non sarebbero aperte, valorizzate e, in qualche caso, ricostruite, dopo il terremoto che nel 2012 ha colpito queste terre.

In questo primo articolo vi porteremo proprio a scoprire meglio il Po, padre e signore di tutta la Pianura Padana, ma anche le terre ed i paesi rivieraschi che grazie al fiume e sul fiume sono nati e si sono sviluppati.

Revere: Il Museo del Po

Il fiume Po è stato per secoli ed in parte lo è ancora oggi, teatro di fatti e incontri straordinari. Del resto, come diceva Giovannino Guareschi: sul Po accadono cose che non accadono in nessun altro luogo. Il Fiume racconta mille storie e numerose leggende: la morte di Fetonte, caduto nell’Eridano (il nome greco del Po) colpito da Zeus; il passaggio degli elefanti di Annibale, dei cavalli di Attila, dei lanzichenecchi, dei carri armati tedeschi e americani, di Matilde di Canossa, Napoleone, Garibaldi. Racconta le vicende di tante città e di paesi che sorgono sulle sue rive, racconta il rapporto tra il fiume, la letteratura e l’arte (Plinio il Vecchio, Virgilio, Pavese, Soldati, Brera, Guareschi, Zavattini, Ligabue, Parmigianino, Gorni…). E poi le vite di tante persone comuni.

Il Museo di Revere (Mn) raccoglie alcuni frammenti di questo mondo: attrezzi da lavoro, reti da pesca, fiocine, nasse, modelli di rimorchiatori, di battelli fluviali, di un mulino sull’acqua, grande protagonista della vita economica e quotidiana del territorio fino all’Ottocento.

Passeggiando per le diverse sale troverete esposti volatili ed altri animali imbalsamati, splendide carte geografiche di varie epoche, immagini di ponti, di uomini che trainano barconi faticando su una striscia di terreno lungo riva, lampade ad acetilene per la sorveglianza durante le piene, tariffari per il passaggio sull’altra sponda. Tutte piccole tessere di un immenso mosaico che ci aiuta ad apprendere un po’ di storia del grande fiume e della sua gente.

L’intero Museo è infatti la testimonianza concreta del contributo di tutta la Comunità locale che, nel corso degli anni, ha donato al Museo, oggetti, foto, testimonianze della propria vita familiare e che ancora oggi, tramite la Pro Loco, ne anima le visite e le iniziative di promozione e valorizzazione.

Ma non solo l’interno, anche l’esterno del Museo del Po, ospitato nel Castello Gonzaga, racconta una storia interessante.

Tutti noi siamo abituati ad abbinare i Gonzaga, una delle grandi e famose famiglie del Rinascimento italiano, alla sola città di Mantova. In realtà le radici di questa nobile famiglia, partono proprio dall’Oltrepò, di cui Gonzaga è uno dei comuni, e da Revere dove il Marchese di Mantova, non ancora Duca, Ludovico II Gonzaga trasformò, con l’aiuto dell’architetto fiorentino Luca Fancelli, il vecchio Castello fortificato in un palazzo adatto ai nuovi fasti rinascimentali della famiglia, in puro stile fiorentino, secondo i dettami artistici dell’epoca.

In epoca medievale e rinascimentale il Po era infatti una grande ed importante arteria di commerci ed incontri e Revere era una tappa obbligata, per i numerosi ospiti, artisti ed ambasciatori che via fiume si recavano a Mantova, risalendo il Mincio che, proprio in questo tratto, confluisce nel Po.

Di fronte alla facciata del palazzo, l’antica torre di Revere, che risale al XII sec., e faceva parte di un sistema per il controllo difensivo ed economico di questo territorio. La torre alta 36 metri, venne sormontata nella seconda metà del XVIII secolo da una cella campanaria in cui nel 1846 si allestì un concerto di campane.

Felonica: La seconda guerra mondiale sul Po

Basta percorrere la ventina di chilometri che, sempre lungo il Po, da Revere permettono di arrivare a Felonica per scoprire ed ascoltare altri luoghi, altre storie, altre vicende. Quello che oggi appare un sereno e piccolo borgo dove degustare una delle specialità culinarie locali il Tirot, profumata focaccia farcita con la locale cipolla, riconosciuta come PAT (prodotto agroalimentare tradizionale), in realtà durante la seconda guerra mondiale era un centro di smistamento nevralgico per lo spostamento delle truppe durante il conflitto.

Proprio qui ha sede il Museo della Seconda Guerra Mondiale del fiume Po, un luogo della memoria degli eventi bellici che si susseguirono nei territori lungo il grande fiume nel corso del secondo conflitto mondiale.

Su di una superficie di 1000 mq all’interno del Palazzo Cavriani di Felonica, il museo raccoglie filmati, foto, documenti e cimeli originali appartenenti al periodo che va dalle prime incursioni aeree del 1944 sino al passaggio del fronte nell’aprile 1945.

Ma l’obiettivo del Museo e dei suoi curatori (anche loro volontari), non è solo quello di raccogliere, restaurare e valorizzare oggetti e reperti di ambo le parti in lotta, ma di dare testimonianza, senza pregiudizio, di eventi bellici a cui hanno partecipato non militari, ma persone in carne ed ossa, ognuno con la propria storia, purtroppo quasi sempre con un finale drammatico.

Chi come noi visita il Museo, sicuramente accompagnato dai volontari della locale Associazione, potrà rivivere tutte le fasi storiche dell’evento bellico, caratterizzato dalla ritirata dei tedeschi in fuga costretti, in qualche modo, a superare il Po incalzati dall’avanzata alleata. Troverà molti reperti interessanti, armi, oggetti delle varie forze armate, divise, elmetti, fotografie, resti di mezzi, strumenti tecnologici che farebbero la gioia di un qualsiasi collezionista di Militaria.

Ma troverà anche storie di uomini di entrambi i fronti, che quelle divise hanno indossato, che quelle armi hanno utilizzato, che quegli aerei o mezzi hanno guidato, magari con esito infausto. Conosceranno la storia del Capitano americano Halfpapp, abbattuto il 24 aprile del 1945, pochi giorni prima della firma dell’armistizio (2 maggio 1945) dopo ben 103 missioni, quella di David Kennedy Raikes, pilota e poeta gallese abbattuto nei cieli dell’Oltrepo, insieme al suo equipaggio. Vedrà i piccoli oggetti quotidiani di John Penboss Hunt, uno dei membri dell’equipaggio del Douglas A20 inglese abbattuto, arruolatosi minorenne con i documenti del fratello più grande.

E dato che le vicende umane della guerra non hanno preferenze, i visitatori scopriranno anche la miracolosa fuga del diciassettenne fante tedesco Paul Muller, che nella notte del 24 aprile del 1945, attraversò il Po a nuoto per sfuggire alle mitragliatrici americane o quella di Roberto Giardini, che visitando il Museo scopre una delle rare foto del padre Gino, paracadutista italiano, partecipante all’operazione militare alleata Herring.

Ma soprattutto la visita del Museo vi permetterà di scoprire e respirare la passione dei suoi volontari. Una passione che ha permesso di trovare e restituire ai familiari, oggetti, ricordi, corpi di giovani, considerati dispersi da anni e che finalmente hanno un luogo per essere ricordati. Una passione che è andata oltre il territorio del Po mantovano, permettendo agli associati del Museo di partecipare, a nome del governo italiano, anche ad altre campagne di ricerca di soldati dispersi, ad esempio sul fronte russo.

Lasciamo alle nostre spalle il Museo della seconda guerra mondiale sul Po, e percorrendo nuovamente la sponda del fiume per una trentina di chilometri, giungiamo a Nuvolato di Quistello dove ci attendono altre persone, passioni e storie che, in questo caso, diventano arte.

Nuvolato di Quistello: il Museo Diffuso Giuseppe Gorni

Il Museo Diffuso “Giuseppe Gorni rappresenta uno spazio importante nella vita culturale dell’Oltrepo Mantovano, in grado di raccontare la carriera artistica e la vita privata di uno degli artisti locali più rilevanti Giuseppe Gorni (1894-1975).

II museo ha sede nelle Ex-Scuola Elementare G. Pascoli della frazione di Nuvolato, un edificio progettato dallo stesso artista tra il 1929 e il 1930 e inaugurato, come museo, nel 2005 per accogliere le sue numerose opere.

La collezione è costituita da 400 opere tra sculture, incisioni, disegni e dipinti, che offrono al visitatore una visione d’insieme della realtà contadina novecentesca, vista attraverso gli occhi di una personalità carismatica, amante della propria terra.

Durante la visita che anche in questo caso, abbiamo fatto, con gli appassionati rappresentanti della locale Pro Loco e dell’Associazione Amici del Museo Gorni, abbiamo ripercorso l’intero itinerario artistico dell’artista, fra pittura, scultura e grafica.

In realtà la produzione di tele ad olio è costituita da un numero ristrettissimo di esemplari, tutti risalenti al periodo tra la fine degli anni ’10 e l’inizio dei ’20, mentre è proprio attraverso la scultura, modellata con l’argilla del vicino Po, che Gorni con vigore e passione ritrae il proprio mondo ed i propri affetti, catturandone l’intimità, con l’obiettivo di esprimere la naturalezza e la verità dei momenti e dei personaggi.

I soggetti ritratti dall’artista sorgono dalla memoria viva dei luoghi e della gente della sua campagna, dove i contadini curvi sul lavoro o seduti a riposo hanno le stesse forme di tronchi d’albero dalla corteccia dura e rugosa, carica di luce e fasciata d’ombra.

Ma Gorni non si limita a creare le opere raccolte nel Museo, ma dissemina il piccolo paese di Nuvolato di opere parietali su muro esterno.

A partire dagli anni 20, l’artista ricopre le facciate del paese natio d’immagini legate al mondo contadino, in grado di raccontare il lavoro degli abitanti del luogo attraverso la descrizione dell’attività dei proprietari delle case sulle quali dipinge.

Quasi un secolo prima del successo dei murales esterni, Gorni ha l’idea di segnalare ogni casa con un graffito che rappresenti l’attività del capofamiglia e i valori sociali di cui è custode: il sarto, il fornaio, il farmacista, l’agricoltore, il falegname. Arte realizzata come ausilio ad una popolazione contadina illetterata, abituata ad intendersi più con l’occhio e con i gesti che con la parola.

Una idea di arte a servizio della propria comunità che era molto innovativa per quei tempi, dove invece l’arte doveva servire a magnificare le gesta del regime o del potente di turno, tanto da costringere lo stesso Gorni ad appellarsi ai compaesani perchè ne capiscano utilità e significato.

Intendi o Compaesano (…) che le cose del mondo si devono intendere non come si vedono ma per quel che dicono, non per ciò che in esse è caduco ma per quel che hanno di eterno. Io mi sono sforzato di essere chiaro tu dunque sforzati di comprendermi (Giuseppe Gorni)

E’ sinceramente un peccato che queste opere pittoriche esterne, di profondo significato sociale ed artistico non siano attualmente coperte da tutela o vincolo dello stato o della locale sovrintendenza, costringendo i volontari ad una costante vigilanza e pressione morale sui proprietari perchè se ne prendano cura.

 

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