Roma: Terra, Fuoco e Forma, viaggio nella ceramica giapponese Yakishime

“Ogni oggetto, ogni singolo frammento ceramico, sa restituirci le lacrime,le emozioni, le gioie e le debolezze che restano impresse nelle piccole cose quotidiane dell’uomo”

(Ludovico Magrini – Giornalista, Archeologo ed Etruscologo italiano)

 

Nel bellissimo contesto dell’ Istituto Giapponese di Cultura a Roma, Via A. Gramsci, nel cuore dei parioli, vengono organizzate diverse mostre per trasmettere e comunicare quella cultura dell’ Estremo Oriente che tanto affascina, ma di cui spesso ignoriamo l’ essenza.

Negli ultimi mesi l’Istituto ha ospitato una bellissima mostra sulla ceramica giapponese “Yakishime“, dalla sua nascita e sviluppo fino ai giorni nostri, con specifici approfondimenti per comprendere come questa si differenzi per aspetti e stili a seconda del periodo storico o del luogo del Giappone in cui viene lavorata.

Questa particolare tecnica di lavorazione ceramica, si distingue per il tipo di cottura, tra i 1200° e 1300° gradi, e viene infatti definita “terracotta ad alta temperatura ed è uno dei primordiali metodi di produzione di ceramica.

La sua origine risiede nel tardo XII secolo nei centri di Bizen, Tokoname, Shigaraki, attraverso tecniche che derivano dalla terracotta definita “Sue. Viene poi utilizzata nel periodo Momoyama (1568- 1615) e si arricchisce dei significati collegati alla cerimonia del tè, e, nel periodo Edo (1600- 1868), accompagna e scandisce la vita quotidiana dei giapponesi, negli oggetti di uso comune.

Molte ceramiche giapponesi hanno smalti applicati a scopo decorativo o protettivo, attraverso la creazione di una superficie vetrosa e impermeabile. Le ceramiche Yakishime invece, sono cotte ad alte temperature in modo che la terra leghi e vetrifichi, divenendo idrorepellente. Solo terra, fuoco e forma, come recita il titolo dell’esposizione.

La ceramica Yakishime e la cerimonia del Tè

La prima sezione della mostra è dedicata all’utilizzo di questa ceramica sotto forma di utensili, adottati per la cerimonia del tè.

Questa cerimonia affonda le sue radici in tempi antichi, ma ancora oggi ritrova la sua essenza in un gesto quotidiano che nella filosofia giapponese ha l’obiettivo di esaltare un ideale di vita. Infatti quello di attingere a un oggetto in apparenza banale e quotidiano, collegato al ritmo incessante della vita di tutti i giorni, per poi trascendere da esso e trasmettere significati ben più profondi, è espediente tipico della way of life giapponese.

Nella cerimonia del tè, ad esempio, ritroviamo l’ eleganza della gestualità, in cui ogni movimento non è dato dal caso, ma studiato nei minimi particolari.

Il Sen no Rikyu, Maestro di cerimonia del Tè tra i più influenti e rappresentativi del Giappone, ebbe notevole risonanza nel diffondere questo antico rituale organizzando vari incontri che confluivano in veri e propri ricevimenti, che diedero l’avvio alla diffusione dei cosidetti Maestri del Tè e alle scuole ad essi affidate.

Da questo momento la cerimonia prende il nome di Via del tè, riprendendo l’ antica tradizione Zen, basandosi sulla concezione del wabi-cha, ovvero lo stile semplice e sobrio che costituisce il cuore della cerimonia e degli insegnamenti zen. Nel seguire la semplicità e la sobrietà si scorge la vera bellezza di quest’ arte, che si va spogliando del suo carattere sontuoso e molto spesso appariscente, che fino a quel momento ne avevano fatto più un momento di ostentazione che di insegnamento filosofico e di vita.

“Ichi-go ichi-e”, “una volta, un’ incontro”

In questo detto si nasconde il senso di quel che il Maestro vuole trasmettere, ossia vivere ogni momento come fosse irripetibile, apprezzarne l’ unicità anche attraverso singoli elementi, tornando all’essenziale, al cuore dell’evento e del suo insegnamento.

Sen no Rikyū, che fu maestro del tè di noti personaggi politici giapponesi, perfezionò e codificò tutti i movimenti e progettò anche la prima stanza del tè indipendente dal resto dell’abitazione.

Stanza da Tè giapponese esterna

Egli, inoltre, stabilì i quattro principi costitutivi della cerimonia del tè, che sono:

armonia, rispetto, purezza e tranquillità.

Questi principi non riguardano soltanto il rapporto tra i partecipanti alla cerimonia, e in particolare tra ospite e invitato, ma anche gli oggetti utilizzati e la scelta del cibo che viene consumato prima del tè.

Il discepolo di Sen no Rikyū, Furuta Oribe, dette origine a una serie di pezzi straordinari per creatività e colorazione appunto noti da allora come stile Oribe.

Spesso i vasai lasciavano colature di smalto o zone non coperte, imperfezioni e bolle; insomma l’ideale estetico del wabi-cha si diffuse sempre più. Malgrado le intenzioni di Sen no Rikyū, le ceramiche che dovevano esprimere il massimo dell’austerità e della povertà raggiunsero presto prezzi elevatissimi ed erano assai ricercate dalle classi più agiate. Si usava persino premiare i combattenti samurai (侍) più valorosi donando loro pezzi particolarmente pregiati o di maestri celebri

La ceramica Yakishime e la bellezza imperfetta Wabi-sabi (侘寂)

Ecco un altro concetto squisitamente giapponese, strettamente legato anche in altri contesti nipponici come, tra gli altri, l’hanami, ossia l’ osservare e insieme godere della vista dei fiori di ciliegio.

Il cuore di questo suggerimento di vita è cogliere la bellezza che sfiorisce, apprezzare dunque la caducità del momento, in quanto non si ripeterà mai più, o non allo stesso modo.

Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai che vola e lo stesso

fiore che oggi sboccia domani appassirà.

(dal film “L’attimo fuggente” )

Vediamo quindi come un rituale anche piccolo e umile acquista importanza nelle sensazioni che da esso scaturiscono e prendono forma. Se volete immergervi in questa bellezza momentanea e sentirvi un pò giapponesi anche voi, visitate, verso metà marzo, il Giardino dei Ciliegi al Laghetto del quartiere Eur a Roma.

La ceramica Yakishime ha accompagnato questa tradizione con un ruolo centrale, riprendendo nel XX secolo la tradizione Momoyama grazie anche al ritrovamento di ceramiche Mino da parte di Arakawa Toyozo, in cui piatti, giare, fiasche per il sakè, vasi per fiori acquistano importanza, in cui raffinatezza e gusto, utilità ed essenziale affiorano con naturalezza nella composizione di un’arte mai scontata e pregna del fascino che l’ accompagna, nel dare importanza all’effimero quanto al presente

La ceramica Yakishime oggi

Infine, l’ultima parte della mostra è dedicata a un fenomeno recente, ossia la sempre maggiore crescita di artisti che creano prodotti di porcellane non smaltate, svincolati dunque dal mero concetto di utilizzo e liberi quindi di conferire, alle loro creazioni, le forme più diverse.

In quest ultima sala troviamo diversi oggetti tra i più variegati, colpevoli di trasmettere calma e forza attraverso le forme ora circolari, ora allungate, ora prese da un vortice.

Qui vi sono anche oggetti che richiamano al kintsugi, il meraviglioso concetto secondo cui un oggetto ormai rovinato, se non addirittura rotto, viene riempito di oro che viene fatto colare nelle crepe, volendo in questo modo esaltarne la bellezza, perchè non si dimentichi mai che un qualcosa che potrebbe volgere al termine, può sempre essere ripreso e accompagnarci ancora.. un concetto quanto mai prezioso nell’era dell’usa e getta, cui il mondo occidentale è ormai assuefatto.

Oggi in Italia, ad esempio in Umbria, anche alcune Onlus utilizzano la tecnica orientale di riparazione e filosofia Kintsugi, per aiutare ed agevolare il recupero dei malati oncologici. Il messaggio che si vuol dare è che quando qualcosa o qualcuno, in questo caso dei malati, ha subito una ferita ed ha una storia di sofferenza, diventa più bello proprio tramite quella ferita o quella prova da cui è passato. Un bel segno di speranza, veicolato tramite la ceramica e la filosofia giapponese, per le tante sofferenze, paure e solitudini legate alla malattia.

Marta Kun

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