“Ripresi la strada alla volta della pianura italiana, dalle prossimità nevose verso le foschie azzurrate dei paesaggi di granturco, dalla splendente purezza dei monti e vallate, verso il caldo e quieto infinito della verde terra padana.”
(Herman Hesse – 1913)
Così nel 1913, il grande scrittore tedesco Herman Hesse in viaggio in Italia, descrive il territorio cremonese. La vastità della pianura e dei campi coltivati è l’aspetto che maggiormente colpisce lo scrittore e che ancora oggi affascina tutti coloro che attraversano la Pianura Padana.
In effetti il territorio di Cremona si mostra ancora ricco di acque, grazie all’Adda, all’Oglio ed al Po che lo attraversano, ma anche ricco di campi coltivati, cascine, tradizioni gastronomiche che ne personalizzano la storia, la cultura ed i sapori. Racconta nei suoi libri di ricordi e gastronomia, lo scrittore Giovanni Nuvoletti che “la cucina è figlia della geografia, della storia e dell’economia di un territorio” e quella cremonese ha saputo valorizzare le antiche tradizioni dei “Casari” padani, sviluppare con creatività le secolari tecniche di conservazione delle carni macellate, applicare alla frutta la cultura degli speziali medievali,per realizzare il gusto dolce e piccante della mostarda o migliorare la friabilità del torrone.
Perchè se la città di Cremona è universalmente conosciuta come la città delle tre T (come raccontato nel nostro primo articolo su questa splendida città – CLICCA QUI – ), il suo territorio è un vero e proprio giacimento di sapori e prodotti DOP, DOCG, IGP.
Un territorio trasformato dall’uomo in base alle esigenze dell’agricoltura e della zootecnica, da sempre attività fondamentali della popolazione. Un territorio attraversato da una fitta rete di veri e propri presidi produttivi: le Cascine.
Per capire l’organizzazione, la storia e la cultura agricola di queste zone è quindi fondamentale visitare una di queste Cascine. Anche noi lo abbiamo fatto, visitando, prima della sua temporanea chiusura per le recenti normative anti Covid, la Cascina “Cambonino Vecchio“, oggi trasformata nel Museo della Civiltà contadina del territorio cremonese.
Cascina Cambonino Vecchio – Museo della Civiltà contadina
La Cascina “Cambonino vecchio” è un tipico esempio di cascina a “corte chiusa” della pianura cremonese. Dal 1978 è sede del Museo della Civiltà contadina cremonese ed è una visita che consigliamo proprio perchè ci permette di conoscere ed immergerci in questo specialissimo “ecosistema produttivo”, autosufficiente e autonomo e tanto diverso dalle nostre tradizioni cittadine. Una vera e propria cellula produttiva in cui ogni edificio, ogni spazio, ogni ruolo ha il suo scopo pratico e concreto, dalla stalla per i cavalli, finalizzata al riposo ed al nutrimento degli animali, a quella per le vacche, finalizzata alla produzione di latte e formaggi, con le pendenze studiate per far defluire i liquami in apposite concimaie, utili successivamente per concimare i terreni in preparazione della nuova stagione.
Ma anche gli altri locali ed aree della Cascina sono costruite con l’obiettivo di massimizzarne l’efficacia. L’Aia, ad esempio, è realizzata esattamente al centro della corte della Cascina, oltre il limite raggiunto in ogni stagione dall’ombra dei caseggiati circostanti, in modo da essere costantemente soleggiata ed arieggiata attraverso speciali feritoie ricavate da specifiche grigliature della muratura circostante, in modo da velocizzare l’essicazione dei cereali.
Anche le abitazioni, all’interno della Cascina avevano una loro gerarchia e specifica collocazione. Dalla “Casa del Bergamino“, il lavoratore responsabile della Stalla, così chiamato perchè tradizionalmente proveniente dalle Valli Bergamasche, realizzata accanto alle stalle e dotata di una finestrella interna per poter guardare e controllare gli animali anche di notte. Alla “Casa del Fattore” dotata di piccolo campanile, perchè i tempi di lavoro della comunità rurale erano tradizionalmente scanditi dal suono della campana che poteva essere suonata esclusivamente da lui.
Un intero lato della Cascina era riservato alle case dei contadini salariati ( in media dalle 5 alle 7 famiglie). Il loro contratto durava un anno e si concludeva tradizionalmente l’11 novembre, giorno di San Martino, per cui, in queste zone, “fare San Martino” vuol dire “traslocare” in ricordo del “trasloco” che in questo giorno dovevano fare i contadini, a cui non era stato rinnovato il contratto, con le loro famiglie.
Al centro di tutto c’era la Casa Padronale, l’unica affrescata nella parte di rappresentanza e dotata di un piccolo giardino esterno alla Cascina. A poca distanza la chiesetta interna alla Cascina, dedicata alla Beata Vergine, dove si svolgevano le diverse funzioni religiose (messe, rosari, battesimi, ecc) che scandivano la vita contadina. Un mondo chiuso ed autosufficiente anche dal punto di vista spirituale, che affascina ed incuriosisce tutti noi, che abbiamo una vita sociale basata, principalemte, sull’uscire e stare lontani da casa.
Dal territorio e dalle cascine simili a quella di Cambonino Vecchio, nascevano e si realizzavano gli eccellenti prodotti gastronomici che hanno fatto grande e conosciuta Cremona, ed a cui, ogni anno, la città dedica specifiche giornate di festa, conoscenza e degustazione.
I salumi e le carni cremonesi
Cremona già in età romana era famosa per la produzione di carni suine pregiate, tanto che la sua Fiera autunnale per commerciare bestiame e suini in particolare, era così conosciuta e frequentata da essere citata da Tacito in un suo scritto. All’epoca e fino a tempi più recenti, le carni venivano consumate fresche o conservate mediante l’impiego di sale e spezie, che giungevano a Cremona, da Venezia, attraverso il fiume Po.
Uno dei prodotti più rinomati, fin dal Rinascimento, era il Salame Cremona IGP lavorato con aglio pestato, spezie e vino rosso. Insieme alla Mortadella di Cremona, al Cotechino cremonese alla Vaniglia ed al Salame da pentola, componevano il tradizionale omaggio che la città, nel seicento, inviava, ogni Natale, al Governatore spagnolo di Milano.
Al Salame cremonese è dedicata ogni anno una specifica festa, con laboratori dedicati ai bambini e tour culturali ed enogastronomici aperti a tutti.
Naturalmente questa golosa manifestazione, ha il vero obiettivo di far conoscere e valorizzare l’intera filiera della lavorazione della carne, promossa e controllata da uno specifico Consorzio Salame Cremona IGP.
I formaggi
La rete territoriale delle cascine permetteva al territorio cremonese di non produrre solo salumi ma anche numerosi tipi di formaggio, di cui ben 6, hanno ottenuto nel tempo il riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta (DOP).
Il più conosciuto fra questi è sicuramente il Grana Padano, citato già nei trattati di gastronomia di fine ‘400, a cui si affiancano il Provolone Valpadana, il Taleggio, il Quartirolo lombardo, il Gorgonzola e il Salva cremasco.
Il Torrone
Cremona vanta numerosi dolci ma il più conosciuto, tanto da essere una delle famose 3 T identificative della città, è il Torrone. Secondo la leggenda locale, fu “inventato” per il banchetto di nozze di Bianca Maria Visconti con Francesco Sforza, nel 1441, ma probabilmente fu realizzato per la prima volta a Cremona nel XIII secolo dai cuochi arabi dell’Imperatore Federico II di Svevia, signore della città.
Questa seconda ipotesi è maggiormente credibile perchè il torrone nella realtà, è un dolce di derivazione araba, ma a Cremona già dei documenti cinquecenteschi, attestando la consuetudine degli abitanti di regalarlo durante le festività natalizie o servirlo durante i banchetti e le altre feste cittadine tradizionali. Grazie a storia, qualità e tradizione il Torrone a Cremona, ha raggiunto livelli qualitativi unici, consentendo ad alcuni mastri pasticceri locali ( Sperlari, Lanfranchi, Vergani, ecc) di diventare vere e proprie grandi aziende dolciarie, alcune purtroppo non più italiane
Anche al Torrone è riservata, ogni anno, una specifica Festa, per la gioia di tutti i golosi.
La Mostarda
La Mostarda, a base di frutti canditi generalmente, è un altro alimento tradizionale della cucina cremonese. Si produce tradizionalmente fra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. La frutta, lasciata intera o tagliata a pezzi grandi, viene candita nello sciroppo ed a fine cottura si aggiunge un pizzico di senape. I frutti utilizzati sono quelli di stagione, facilmente reperibili nel territorio cremonese: zucca, anguria bianca, fichi, mele, pere, ciliegie e scorza d’arancia.
L’utilizzo della Senape, comportava il coinvolgimento, fin dal medio evo, oltre che dei cuochi anche degli speziali, droghieri e farmacisti. Tutta la procedura non era però nata con finalità esclusivamente gastronomiche ma come modalità di conservazione della frutta estiva. Per questo processo, anticamente, nei monasteri della zona, si usava come conservante una salsa speciale a base di mosto d’uva, da cui deriva il nome di Mostarda.
Come potete vedere dalle fotografie, noi del Blog abbiamo potuto assistere a tutto il processo di produzione artigianale, visitando il Ristorante storico “Hosteria 700“, guidato dalla Chef Marina Morelli, che ha eseguito la preparazione personalmente.
Anche alla Mostarda viene dedicato in ottobre di ogni anno, ad eccezione di questo 2020, uno specifico Festival, normalmente in abbinamento con Mantova, altra città tradizionalmente produttrice di mostarda.
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