Roma, Piazza di Spagna: Ferragosto a Casa Keats

” In Italia durante il mese di agosto, persino Dio è in vacanza”

(Gabriel García Márquez)

Ci siamo. Anche quest’anno è Ferragosto, uno di quei giorni tipici in cui “bisogna fare qualcosa”. Uno di quei giorni classici che sono preceduti dal “mantra social” Che fai per…….? Tutti pronti, tutti allineati… tutti in fila in autostrada, sulle spiagge, sui prati, davanti al classico barbecue, con relativo Cocomero finale, selfie e servizio fotografico da condividere immediatamente con amici reali o virtuali su facebook o su instagram.

Può capitare però che per i motivi più vari non si riesca ad andare “per forza” in vacanza e quindi si abbiano davanti due alternative: utilizzare photoshop per collocarsi all’interno di qualche foto altrui oppure lasciarsi rapire dalla propria città e scoprirne angoli ed opportunità originali e nascoste.

la sede della Keats Shelley House

A noi quest’anno è capitato e senza vergogna abbiamo scelto la seconda opzione, auto invitandoci, per Ferragosto a Casa Keats!

La casa dove lo scrittore romantico inglese John Keats (1795 – 1821) è vissuto durante il suo breve soggiorno romano è collocata in uno dei più belli e magici angoli di Roma, al numero 26 di Piazza di Spagna ai piedi della Scalinata di Trinità dei Monti.

Ci siamo già occupati, in un precedente post, di Trinità dei Monti e del suo Convento, oggi entriamo nella Casa di John Keats, iniziando un piccolo viaggio nel tempo, alla scoperta di questo giovane e sfortunato poeta inglese, che quì morì nel 1821 a soli venticinque anni, diventando, insieme a Shelley e Byron un simbolo del Romanticismo inglese.

 

Conscio della gravità del suo male, ma non rassegnato alla sua sfortuna, tanto da desiderare:

Una coppa (di vita) piena fino all’orlo e dentro annegarci l’anima

                (J.keats – Voglio una coppa piena fino all’orlo)

Dal 1909 la Casa è diventata un vero e proprio memoriale volto a promuovere e divulgare l’influenza della città di Roma sui grandi artisti dell’epoca Vittoriana.

John Keats

Keats, insieme all’amico Joseph Severn, vi arrivò nel novembre del 1820, sperando che il clima mite di Roma lo aiutasse a guarire dalla Tubercolosi. Scelse la zona di Piazza di Spagna perchè nelle vicinanze abitava il suo medico, James Clark. Purtroppo Clark, convinto che Keats non avesse la Tubercolosi ma altri problemi gastro intestinali, sbagliò la cura ed il giovane scrittore morì poco più di tre mesi dopo il suo arrivo in città.

Errori sanitari a parte, probabilmente Keats, sarebbe morto precocemente lo stesso. Nell’ottocento la Tubercolosi (o tisi) era infatti una malattia considerata grave e senza grandi speranze. Nella sola Inghilterra nel 1820 (anno del trasferimento di Keats a Roma) un morto su quattro era deceduto per Tubercolosi, uno su sei in Francia… La malattia faceva così paura che, nella credenza popolare, era abbinata al vampirismo. I sintomi principali infatti, occhi arrossati e gonfi, aspetto stanco e colorito pallido, perdite di sangue dalla bocca, erano, per le classi più povere ed ignoranti, classici segnali di un potenziale vampiro.

Chi era ricco poteva sperare di curarsi nei sanatori o scegliendo località turistiche dove l’aria ed il clima permettessero ai polmoni di rallentare o bloccare la malattia. Sembra strano ma, per quegli originali “chiaroscuri” della storia, molte delle prime località turistiche europee italiane, spagnole, portoghesi e francesi, lo diventarono proprio grazie al loro salubre clima e a questi malati ed ai loro soggiorni della speranza…

Malattia terribile la Tubercolosi e nella gran parte dei casi priva di esito positivo, eppure l’arte del periodo romantico deve molto ai tragici finali causati da questa malattia… Cosa sarebbe stata la Traviata di Verdi senza Violetta o la Bohemè di Puccini con una Mimì in piena salute? E Leopardi avrebbe dedicato la sua bellissima poesia “A Silvia” se non l’avesse precocemente persa?

E come Leopardi, anche Keats fa della sua malattia, non una fonte di pessimismo ma di poesia e, pur in quelle condizioni senza speranza, dice alla donna amata:

Dolcezza mia non impallidire, non mostrare il volto triste e sconsolato,
oppure, se vuoi, spargi pure una lacrima (dicendo) se n’è andato..
Si certo, era nato per morire”

(J. Keats – Non pensarci mia cara)

Su incendiami di parole, e bruciandomi sorridimi, stringimi,
E l’urna poi delle mie ceneri, seppeliscila nel tuo cuore.
Su, amami davvero!”

(J. Keats – Che mi ami tu lo dici)

Pensiamo a questa grande capacità dei poeti di vedere bellezza, speranza ed infinito anche nelle cose che noi consideriamo Sfiga,  mentre saliamo le scale ed entriamo in questa piccola casa, ferma nel suo arredamento e nelle sue atmosfere, ai primi decenni dell’800. Come le buone regole borghesi insegnano, la prima sala che ci accoglie è il salone. Le pareti sono coperte da librerie in legno contenenti moltissimi libri dell’epoca. La casa infatti ospita, fin dalla nascita del Museo ai primi del ‘900, una delle più importanti biblioteche sulla letteratura romantica ed una esclusiva collezione di manoscritti, quadri ed oggetti ricordo non soltanto di Keats ma anche di molti altri scrittori romantici quali ad esempio Shelley e Byron, che soggiornarono a Roma nel medesimo periodo storico.

Lord Byron

A questo proposito colpisce come, nell’arco di poche centinaia di metri intorno a Piazza di Spagna, siano vissuti nel corso del XIX secolo, alcuni importanti artisti e scrittori anglosassoni: Byron, Eliot, Henry James, Samuel Morse (conosciuto forse più per il famoso alfabeto…), Sir Walter Scott, Shelley e Turner. Un caso? Assolutamente no. Roma è sempre stata una fonte di attrazione ed ispirazione per i viaggiatori di tutto il mondo e di tutti i tempi, ma mentre nel ‘700 si veniva a Roma per completare il proprio cammino di formazione, chiudendo in città il “Gran Tour”, nell’800 si viene a Roma per provare e descrivere “emozioni”. Emozioni e ricordi che Roma regala a piene mani a chi la vive, da turista o da cittadino…

Entrare nella camera da letto di Keats ci distoglie dalle nostre distrazioni turistiche. Soffitto, pavimento e caminetto, sono ancora quelli originali visti e calpestati da Keats, gli arredi, pur d’epoca, sono invece stati pian piano acquistati successivamente dalla Fondazione Keats-Shelley Memorial. Secondo le leggi vigenti all’epoca nello stato pontificio, alla morte di Keats, tutti gli arredi furono bruciati per evitare il potenziale contagio e quindi, quelli che vediamo oggi, non sono gli originali.

 

La camera da letto di Keats

La stanza è piccola, ma se diamo uno sguardo fuori dalla finestra, nello stesso punto da cui anche Keats, dal suo letto, poteva farlo, veniamo rapiti dalla visione originale della scalinata  di Trinità dei Monti e della “barcaccia” del Bernini.

E anche noi, come il giovane poeta, attraverso quella finestra:

“lasciamo vagare la Fantasia e lei, l’alata
spalanca la porta della gabbia della mente
e si lancia, volando verso il cielo”

                               (J. Keats – Fantasia)

 

Altro mobile della camera è il letto, che seppur non originale,  ci ricorda come Keats, probabilmente durante una delle tante crisi di respirazione notturna, causate dalla Tubercolosi, descrive il sonno come un amico che lo salva dal pensare e ripensare alle proprie difficoltà:

             “Poi salvami, altrimenti il giorno andato, lucido apparirà sul mio guanciale,
di nuovo producendo molte pene.
              Salvami dall’allerte coscienza, che di più rinvigorisce il suo vigore, scavando come talpa
             Volgi abile la chiave, nella toppa oliata e da il sigillo, che tace, nel mio cuore”

(J. keats – Al sonno)

Keats fu poi sepolto al Cimitero Acattolico di Roma, dietro la Piramide Cestia, dove riposa insieme ad altri grandi figure non cattoliche della nostra città.

Forse a ricordo del suono dell’acqua della Fontana del Bernini, sulla sua lapide volle la celebre frase:

Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua

ma che con la sua poesia era ormai custodito per sempre nei cuori di tutti coloro che leggono ed amano le sue poesie

Ci incamminiamo verso l’uscita, ma il ricordo delle cibarie ferragostane che i nostri amici stanno consumando in giro per l’Italia, ci fanno nascere una domanda. Se oggi veramente avessimo incontrato Keats cosa ci avrebbe offerto a pranzo?

Sunday Roast Beef

Trattandosi di un inglese e di un giorno di festa, sicuramente ci avrebbe offerto il classico “Sunday Roast“, tipico arrosto di manzo, servito insieme allo Yorkshire Pudding e salsa di Rafano o senape. In Inghilterra infatti è tradizione la domenica o nei giorni di festa mangiare carne arrostita. La tradizione risale al Medioevo, quando cittadini e contadini, liberi dai lavori quotidiani, si esercitavano nell’uso delle armi, specialmente dell’arco, e venivano “premiati” dai loro signori con pezzi di carne, pietanza normalmente riservata esclusivamente ai nobili.

Noi da bravi romani, trattandosi di arrosto, ci saremmo presentati con un bel paio di bottiglie di Rosso Cesanese del Piglio, perchè è tradizione “non arrivare mai a casa d’altri a mani vuote”… 

Lasciamo a malincuore questo piccolo pezzo di romantico 800 inglese e torniamo a Piazza di Spagna piena di sole, rumore e turisti, non prima di aver salutato, via video, Carlo d’Inghilterra che, attraverso la sua Fondazione, patrocina il Museo.

Lasciamo anche sul registro dei visitatori i nostri complimenti ed il piccolo consiglio di aumentare, nel percorso, le didascalie in entrambe le lingue inglese ed italiano, perchè purtroppo la dimestichezza italiana con l’inglese, risalente mediamente ai tempi della scuola, è, in genere, abbastanza approssimativa.

E con questo… auguro a tutti voi, miei GiroAmici, un buona e divertente estate, sperando di avervi strappato sia un sorriso che la voglia di visitare la “Keats-Shelley House”.

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